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Camelia dopo 9 mesi fuori dal Cpr di Roma: “Soffre di problemi psichiatrici, illegale la sua detenzione”

Rinchiusa per 9 mesi in un centro per il rimpatrio nonostante i gravi problemi psichiatrici. A raccontare la storia di Camelia a Fanpage.it l’avvocato Gennaro Santoro e il medico Nicola Cocco. Ad un mese dalla condanna della Cedu, si trova in cura in una struttura specializzata.
A cura di Beatrice Tominic
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Il cpr di Ponte Galeria durante una rivolta del 2014.
Il cpr di Ponte Galeria durante una rivolta del 2014.

Quando parliamo di centri per il rimpatrio l'immagine che ci troviamo davanti spesso è un luogo senza speranza per chi ci vive. Senza speranza di uscire e trovare una nuova vita nel Paese di approdo. E, in alcuni casi, anche senza la speranza di tornare in quello di origine. Le persone che non vivono, ma sopravvivono in queste strutture, non la pensano diversamente. Lo testimoniano i numerosi tentativi di suicidio che avvengono nelle celle (alcuni dei quali raggiungono il loro scopo, come successo ad Ousmane Sylla nello scorso febbraio) e le conseguenti rivolte da parte degli altri ospiti, degli altri detenuti.

Può andare peggio di così? Probabilmente sì. E a testimoniarlo è la storia di Camelia, una donna approdata in cpr nonostante i gravi problemi psichici di cui soffre. A raccontarla a Fanpage.it l'avvocato e il medico, Gennaro Santoro e Nicola Cocco, che hanno affiancato le deputate Rachele Scarpa ed Eleonora Elvi. Sono state loro, insieme ad un team di collaboratori e collaboratrici, a portate la discussione in Europa e che si sono battute per permettere che Camelia potesse ricevere aiuto in base alle sue necessità. Il loro grido si è ben distinto fino a raggiungere la Cedu, la Corte europea dei diritti umani, che ha ordinato al governo italiano di liberare Camelia dal centro e di provvedere ad offrirle le cure necessarie. Ad un mese dalla decisione della Cedu, però, qual è la situazione di Camelia?

Camelia e il rifiuto: "Era chiaro che avesse bisogno di aiuto"

Esistono casi in cui il dubbio sulla salute degli ospiti detenuti nei centri per il rimpatrio è lecito. In altri, invece, le condizioni sono chiare. E questo è il caso di Camelia.

"È arrivata nel centro a fine ottobre del 2023, dalla struttura di Catania. Da quel momento ha sempre rifiutato ogni contatto con le persone. Le hanno fatto le analisi di routine, il tampone per il covid. Nessun controllo sulle condizioni della sua salute mentale. Non è come in carcere, qui questa è la prassi. È arrivato il nulla osta ed è stata trasferita qui". Camelia, però, in quel cpr non poteva stare. "È rimasta per nove mesi, quando non avrebbe dovuto trascorrere neanche un giorno in quella struttura – ha spiegato a Fanpage.it il dottor Nicola Cocco – Nei cpr si ammalerebbe chiunque, anche le persone sane. Non è possibile immaginare cosa possa succedere a chi ha già una situazione difficile alle spalle".

Parla l'avvocato Gennaro Santoro: "Era chiaro che avesse bisogno di aiuto"

Eppure, dall'ingresso nella struttura, Camelia si è dimostrata fin da subito un soggetto, se non altro, atipico. "Non ha mai parlato con un avvocato, non ha mai parlato con un giudice. Si è sempre rifiutata di avere contatti con le persone, soprattutto con quelle esterne alla struttura – ha spiegato a Fanpage.it l'avvocato Gennaro Santoro, che si è occupato del caso insieme a Rule39 Nessuno si è posto il problema di capire per quale motivo lo facesse. Ha iniziato a rifiutare qualsiasi contatto con le persone. Era chiaro che si trovasse in difficoltà".

La storia di Camelia, poi diventato un caso di speranza, è emersa soltanto all'inizio del mese scorso quando, dopo un enorme dispendio di energie e una denuncia pubblica, è approdata davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

"La sua permanenza nel cpr era incompatibile, non ha mai ricevuto una visita approfondita dalla Asl, eppure il termine massimo di detenzione le è stato rinnovato anche se lei non si sarebbe dovuta trovare lì – continua il legale – I centri di rimpatrio sono veri e propri centri di detenzione dove gli ospiti (o, nel caso del cpr di Ponte Galeria, unico con una sezione femminile, anche le ospiti) stazionano in maniera illegittima, come detenuti ma senza aver commesso alcune reato, soltanto in attesa di rimpatrio e di un'ambasciata che possa dare l'okay. Le persone restano così abbandonate a se stesse. Così come abbandonata a se stessa è rimasta, per oltre nove mesi, Camelia. Come è stato possibile prorogare la sua permanenza viste le sue condizioni?"

Prospettive future per Camelia: le risposte del dottor Cocco

"Siamo soddisfatti del richiamo da parte del Cedu. L'importante per noi è che Camelia sia fuori dal cpr. E che stia bene – sottolinea – Spesso a redigere il nulla osta dei detenuti dei cpr sono medici che non conoscono le strutture, che visitano i pazienti per meno di 10 minuti, con pressione burocratiche e poca tutela: per questo con una quarantina di medici abbiamo indetto una campagna sanitaria nazionale a riguardo".

Quello che succede nei cpr metterebbe a dura prova chiunque: "C'è una sommatoria fra detenzione, abuso di psicofarmaci e, come nel caso di Camelia, un'inadeguata presa in carico di fragilità di salute mentale – precisa il medico – Come hanno spiegato alcuni miei colleghi fra cui il collega psichiatra Antonello D'Elia, analizzando l'atteggiamento della donna, a partire dal rifiuto del contatto con l'autorità, per Camelia c'è un'incompatibilità con la vita nel cpr ed è per questo che va sottratta dallo stato di bestialità, tipico di queste strutture che sono da chiudere subito e inserita in un contesto dove c'è un maggiore contatto umano e maggiore cura. Ma lo deve fare lo Stato". E oggi, ad un mese dalla denuncia e dalla decisione della Cedu, per Camelia cosa è cambiato?

Camelia oggi: la libertà dopo il cpr e il ritorno alla vita

"Nel giro di tre settimane, per Camelia la vita è cambiata. È stata trasferita dal cpr, ora si trova in un'apposita struttura a Roma per curare i suoi sintomi post manicomiali – tranquillizza il dottor Cocco – Ora continuiamo a monitorare la situazione di Camelia che sembra essere in netta ripresa: sta ricostruendo la sua storia, la sua vita e ha ripreso a parlare con le persone a partire dal personale della struttura in cui si trova oggi. Ma continuiamo anche a restare vigili per aiutare chi ancora si trova nell'inferno dei cpr a ritrovare la libertà che, come diceva Basaglia, è terapeutica".

Non è escluso infatti che altre persone stiano vivendo quello che fino a qualche tempo fa stava vivendo lei. "Ha un passato traumatico, ma a poco a poco sta cercando di ritrovare la sua vita e rinascere da questo. Senza dubbio per noi è un traguardo importante. Ma senza la sentenza della Cedu, probabilmente, non avremmo avuto la presa in carico delle strutture preposte. E la storia di Camelia, ancora lontana da un epilogo felice, ma sulla buona strada, sarebbe ancora tutt'altro che un lieto fine".

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